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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2012 alle ore 18:33.

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IL CAIRO - «È la democrazia. È vero: una democrazia egiziana, piuttosto caotica e forse incomprensibile fuori dal Paese. Ma sempre qualcosa che prima non esisteva». La Corte costituzionale ha appena preso decisioni controverse, ma nel suo ufficio, quartiere di Dokki al di là del Nilo, Amre Moussa non sembra agitato. «Qualsiasi cosa venga decisa, chiunque vinca le elezioni presidenziali, nessuno potrà più ignorare che c'è stata una rivoluzione. L'Egitto è cambiato e indietro non tornerà mai più».
Ministro degli Esteri di Mubarak troppo amato dalla gente perché il rais lo potesse sopportare; mandato per questa ragione a presiedere la Lega araba per 10 anni; tornato in pista dopo piazza Tahrir nella speranza, a 75 anni, di diventare il primo presidente democratico. La sua sconfitta al primo turno è stata inaspettata e lacerante. Per questo Moussa sembra essere invecchiato di 10 anni.

Cosa era andato male?
Ho commesso degli errori. In tanti credevano che al ballottaggio si sarebbe andati in un modo diverso. Ma questo è il processo democratico al quale noi egiziani non siamo molto preparati. La sorpresa è parte del gioco.

Nessuno pensava che Ahmed Shafik, ex ministro di Mubarak, cioè il vecchio regime, potesse prendere tutti quei voti. Ed ora la Corte suprema gli spiana la strada alla vittoria su Mohamed Morsi, l'uomo della Fratellanza islamica.
Non abbiamo avuto la giusta considerazione del timore della gente: voleva sicurezza e ordine, aveva paura del futuro. Per molti la rivoluzione era caos e insicurezza.

Ma Shafik è proprio un uomo del vecchio regime?
Si, è stato l'ultimo premier di Mubarak. Questo non significa che se diventasse presidente la rivoluzione finirebbe. Gli egiziani sono cambiati, non stanno più zitti come prima. Occorre ormai un modo diverso, più democratico, di governare. Chiunque vinca, lui o i Fratelli musulmani, non potrà tornare alle vecchie pratiche del passato.

Essere costretti a scegliere al ballottaggio di sabato e domenica tra un islamista e un vecchio arnese del passato, non è una grande vittoria del cambiamento.
Esatto: la gente dovrà scegliere fra due cattive scelte. Temo ci sarà un forte astensionismo. Per questo continuo a chiedere agli egiziani di andare comunque ai seggi.

Lei ci andrà?
Certamente.

E come voterà?
Non ho ancora deciso. Davvero: non lo so ancora.

Lei adesso cosa farà?
Ho avuto una vita politica molto lunga, posso tornare a fare il cittadino normale. Ma sarò un cittadino impegnato.

Cioè fonderà un partito.
E' possibile. Se deciderò di farlo sarà un partito della seconda repubblica egiziana: Costituzione, sviluppo, cultura. Un partito con una politica estera e una politica regionale. Ne ho parlato anche con Mario Monti quando è venuto in visita al Cairo. Chiederò che l'Egitto ottenga un'adesione virtuale all'Unione europea. Le sue istituzioni democratiche, la difesa dei diritti civili devono essere un esempio per il nuovo Egitto.

In caso di vittoria i Fratelli musulmani hanno promesso di rivedere il trattato di pace con Israele. Lei è stato ministro degli Esteri, segretario della Lega araba, ha sempre criticato Israele. Cosa consiglierebbe al presidente della Fratellanza?
Di non cambiare la politica estera del Paese, i trattati internazionali vanno preservati. Oggi l'Egitto ha altre priorità: l'economia, il lavoro, l'educazione, la pace sociale. E' di questo che si dovrà occupare il nuovo presidente.

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